Twitter non riesce a tenere alla larga i commenti razzisti di molti suoi utenti, soprattutto nel Regno Unito, dove circa l’8% dei post contiene termini potenzialmente offensivi che colpiscono il credo religioso, l’appartenenza etnica o l’aspetto fisico degli utenti e non solo. A confermare la tendenza razzista del social network è un’indagine pubblicata da Demos e intitolata significativamente Anti-social media : i ricercatori britannici hanno monitorato 127mila tweed in lingua inglese e provenienti da account anglosassoni, scoprendo in 10mila di questi epiteti potenzialmente xenofobi. I tweet d’Oltremanica sono un crogiolo di termini sensibili, utilizzati a volte con tono dispregiativo o arrogante , per tramutarli in insulti: lo studio ha stilato una classificazione delle parole discriminanti, tra cui ad esempio ‘Paki’ per identificare la comunità indo-pakistana in Gran Bretagna, ‘Crowes’ per indicare i neri, ‘Pikey’ per classificare una persona come immigrato (spesso nei guai con la legge). Twitter, insomma, ha un problema di linguaggio: le offese razziali lo infestano in potenza, quando non de facto. Le parole, verrebbe da dire, sono importanti.
Londra, abbiamo un problema: Twitter è razzista

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