Il cloud computing sta mettendo ancora una volta le case discografiche di fronte alla loro incapacità di gestire l’evoluzione del mercato. È ora di cambiare musica. A più di dieci anni dalle prime bastonate ricevute dal mercato digitale, le major discografiche rischiano nuovamente di soccombere per la loro incapacità di governare la smaterializzazione dei contenuti. A cavallo del duemila la crisi fu innescata da Napster, battuto in tribunale ma inevitabilmente risorto in mille figli. Per fortuna è arrivato in soccorso iTunes, ma siccome i discografici proprio non capivano che il mondo cambia gli hanno fatto la guerra a lungo. Apple coperta di insulti ha salvato la discografia e ha accompagnato per mano le major sul quel terreno che non erano state in grado nemmeno di capire. Oggi la storia rischia di ripetersi con il cloud. Le grandi web company stanno testando da mesi la possibilità di dare agli utenti archivi virtuali all’interno dei quali conservare le proprie canzoni senza doverle scaricare sul computer. Questo vuol dire che un brano comprato una volta può essere riprodotto su qualsiasi dispositivo. Ama- zon ha tolto il velo questa settimana alla sua offerta e Sony si è già premurata di far sapere che un’opzio- ne del genere richiede licenze aggiuntive a quelle concesse alla società per vendere il download. Google e Apple si stanno muovendo per offrire loro soluzioni. Questa volta per i discografici la memoria corta potrebbe rivelarsi fatale.
Nuove turbe digitali per le major

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