Telecom Italia metafora del Belpaese. L’Ue chiede di aprire il mercato, Mediaset si vende come interlocutore per difendere il sistema Italia. Lo dice Berlusconi da Firenze. Il tormentone è destinato a durare per giorni ancora. Sembrerebbe che le parti siano ancora al palo nel cercare delicati equilibri tra la ragion pura e quella politica, difesa a spada tratta da contorte elucubrazioni sulla difesa dell’italianità del gruppo di telecomunicazioni, ex monopolista. Dopo l’abbandono, prima ventilato poi ritrattato, di AT&T, con conseguenti polemiche sull’asse Washington-Roma, e l’interesse ancora acerbo degli spagnoli di Telefonica, arriva un possibile coinvolgimento di Mediaset. “Siamo disponibili a entrare in Telecom per garantirne l’italianità, ma non vogliamo comandare – dice l’azionista di riferimento ed ex premier Silvio Berlusconi dal congresso dei Ds di Firenze -. Noi siamo stati semplicemente richiesti nel caso di una cordata italiana a parità di intervento di altri imprenditori. I miei hanno risposto a un appello. Il mio deve essere inteso come un atto di generosità patriottica, se ci sono dei problemi mollo tutto”. “C’è la legge che regola questa materia”, osserva laconico il vicepremier Francesco Rutelli riferendosi a una possibile bocciatura, da parte dall’autorità garante, dell’ingresso di Mediaset in Olimpia, la holding che controlla Telecom. Il capogruppo dei Comunisti Italiani alla Camera, Pino Sgobio, gira il coltello in una vecchia ferita dell’attuale maggioranza di governo: “Ci manca solo il suo ingresso in Telecom. Berlusconi possiede già il 50% dell’informazione. Quello che serve al più presto è una legge sul conflitto di interessi”.
Pronto, chi vende?

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