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21 Marzo 2007 | Economia

Pubblicità poco creativa e ripetitiva: condannata a un anno di lavori forzati

Condanna a un anno di lavori creativi forzati. E’ questo il verdetto unanime pronunciato dal tribunale speciale che ieri è stato chiamato a esprimersi nel primo processo che ha visto come imputata la comunicazione aziendale. Il divertente contraddittorio, che si è svolto ieri, è stato organizzato dal Club del marketing e della comunicazione e ha visto protagonisti rappresentanti autorevoli del mondo della comunicazione. Accusa e difesa hanno perorato di volta in volta le proprie ragioni partendo dai dati di una ricerca sui consumatori realizzata da QMark. Questi i capi d’imputazione emersi dalla ricerca e fatti propri dall’accusa: la comunicazione aziendale è eccessiva, ripetitiva e invasiva. La squadra accusatoria era capitanata da Pasquale Diaferia (presidente di Special Team) e poteva contare, tra gli altri, su personaggi del calibro del fotografo Oliviero Toscani. Dall’altra parte, a difendere a spada tratta l’imputata c’erano, tra gli altri, Enrico Montangero (presidente di M&M) e l’eclettico Lorenzo Marini (presidente di Lorenzo Marini e associati). La rosa dei giudici era composta da Giorgio Floridia (presidente Iap – istituto autodisciplina pubblicitaria), Gianluigi Falabrino (docente universitario), Nando Pagnoncelli (presidente Assirm) e Michele Cimino (presidente Adico). La ricerca di mercato online realizzata da QMark ha coinvolto un campione di 1.300 utenti chiamati a rispondere sulla comunicazione pubblicitaria che si vede su diversi mezzi: tv, radio, affissione, stampa e internet. Dai dati emerge che la pubblicità è eccessiva (21,4%), invasiva (19,3%) e ripetitiva (15,7%).  In particolare, tv e stampa sono i mezzi in cui la pubblicità risulta più eccessiva, mentre internet è di gran lunga in testa alla classifica per quanto riguarda l’accusa di invasività. La radio invece guadagna lo scettro del medium dove l’advertising è più ripetitivo. Alla domanda “Come dovrebbe essere la pubblicità”, la metà degli intervistati (il 50,8%)ha risposto: “informativa”. Per il 39% del campione dovrebbe essere interessante e per il 35,6% stimolante. Oltre ai tre capi d’imputazione, l’impostazione dell’accusa si è basata anche sulla constatazione che oggi la comunicazione pubblicitaria è sempre più condizionata da logiche di marketing che puntano a un profitto immediato e che giustifica qualsiasi forma creativa, anche quelle che scadono nel volgare e nel banale. Si punta insomma più sulla quantità che sulla qualità. Per la difesa invece le tre accuse che vengono mosse alla pubblicità sono imputabili al sovraccarico informativo che caratterizza la nostra società. L’arringa conclusiva dell’accusa è stata affidata a Toscani che ha improntato il suo discorso sulla mancanza di creatività: “Chi lavora in comunicazione oggi è medriocre. Manca il coraggio di rischiare e chi non rischia non può essere creativo”. Dalla difesa Lorenzo Marini ha accettato le critiche. più morali che pratiche, e ha così replicato: “Cerco che gli uomini sbagliano, altrimenti le matite non avrebbero dietro il gommino. Questa è una frase di Topolino”. La giuria popolare, composta dal pubblico presente in aula, ha espresso un giudizio di colpevolezza su tutti e tre i capi d’accusa: la comunicazione aziendale è eccessiva per il 54,8%, ripetitiva per il 79,1% e invasiva per il 64,8%. Più mite invece il giudizio della corte. Dopo una breve camera di consiglio, i giudici hanno emesso il verdetto all’unanimità, letto dal presidente Floridia: “Premesso che la comunicazione aziendale è uno strumento indispensabile per lo sviluppo collettivo; che l’eccessività non è imputabile solo alla pubblicità; che la ripetitività e la mancanza di creatività sono due difetti ai quali si può porre rimedio, condanna gli addetti ai lavori a un anno di lavori creativi forzati”. Appuntamento, quindi, fra un anno per il processo di appello.

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