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29 Aprile 2022 | Attualità, Economia

Rapporto benessere equo e sostenibile 2021: l’Italia post pandemia 

Il rapporto Bes 2021 ‘Il benessere equo e sostenibile in Italia’ diffuso dall’Istat fa una fotografia della società italiana nell’anno appena trascorso. Dall’aumento del lavoro da remoto, al numero di NEET (giovani tra i 15 e 29 anni non impegnati in un percorso di formazione o lavorativo) per cui l’Italia è prima in Europa, fino alla crescita delle famiglie in condizione di povertà assoluta.

Salute

Dal nuovo rapporto risulta che nel 2021 l’11% delle persone (circa 6 mln) ha dovuto rinunciare a visite specialistiche o esami diagnostici di cui avevano bisogno per problemi economici o legati alle difficoltà di accesso al servizio (nel 2019 erano il 6,3%). Aumenta la speranza di vita in buona salute e diminuiscono le persone in eccesso di peso anche se salgono gli obesi. Preoccupano gli adolescenti (14-19 anni) dove aumenta sedentarietà e disagio mentale. Cresce la fiducia nel personale sanitario.

Nord VS Sud 

Il rapporto offre un ritratto dello stato di qualità della vita dei cittadini italiani. Appare chiaro che nel Sud, e particolarmente in Campania, esiste un particolare divario sul tema salute. Nel 2020 l’Italia è stata tra i Paesi più colpiti dalla pandemia e l’eccesso di mortalità ha comportato una riduzione della speranza di vita di oltre un anno in tutto il Paese. Grazie ai vaccini l’anno scorso si è avuta una leggera ripresa, che ha risollevato la media nazionale attuale sugli 82,4 anni, ma nonostante questo i dati dimostrano come nel Mezzogiorno oggi si viva in media fino a un anno in meno rispetto al resto del Paese.
 
A detenere il triste primato di minore aspettativa di vita è la regione Campania con 80,6 anni, 7,2 mesi in meno rispetto alla media di tutto il Sud e delle Isole. Un dato che è in parte anche una conseguenza diretta degli altri record in negativo della regione, tra i quali si riscontra il più alto tasso di mortalità evitabile, ovvero tutti quei decessi che si potrebbero prevenire con un’assistenza sanitaria tempestiva ed efficace, oltre che quelli legati a stili di vita salutari e a fattori di rischio ambientale. La media regionale è di 20,2 morti scongiurabili l’anno ed evidenzia un forte divario rispetto alle regioni del Centro (16,1) e del Nord (15,4). 
 

Aumentano i lavoratori da remoto

Nel 2019 il lavoro da casa era una modalità di lavoro per appena il 4,8% degli occupati; nel secondo trimestre del 2020 ha raggiunto il picco del 19,7%. Il ricorso al lavoro da casa, tra il 2020 e 2021, è passato dal 13,8% al 14,8% (circa +260 mila occupati), anche se con un andamento ancora legato, oltre alla stagionalità, all’evoluzione pandemica. Nel corso del 2021 si registra una progressiva riduzione della quota di chi lavora a casa per la maggior parte del tempo, mentre rimane pressoché invariata quella di chi lavora da casa per meno della metà dei giorni a segnalare una sorta di convergenza verso una modalità mista di lavoro, che combina lavoro da casa e lavoro in presenza.

Cresce il tasso di occupazione

Nel 2021 l’occupazione torna a crescere, recuperando però solo parzialmente le ingenti perdite subite a causa dell’emergenza sanitaria. Il 2021 segna un parziale recupero dell’occupazione persa nel 2020, pari a +128 mila occupati tra le persone di 20-64 anni in media annua).

Il tasso di occupazione tra i 20 e i 64 anni sale al 62,7% (+0,8 punti percentuali), ma resta ancora al di sotto del livello pre pandemico.

I divari territoriali continuano a ridursi e nel Mezzogiorno il tasso di occupazione torna ai livelli del 2019 (48,5%). Tra i laureati la ripresa nel 2021 è stata più intensa rispetto agli altri livelli di istruzione e il tasso di occupazione raggiunge il 79,2% (+1,5 punti).

Quanto al tasso di mancata partecipazione al lavoro si attesta al 19,4% nel 2021, in calo (-0,3 punti percentuali) dopo il forte aumento registrato nel 2020.

Peggiora la situazione economica per una famiglia su tre

Dopo l’esplosione della pandemia da Covid-19 che ha colpito il nostro sistema economico, gli indicatori di benessere economico evidenziano un quadro di lento miglioramento. Tuttavia quasi una famiglia su tre ha visto peggiorare la propria situazione economica. 

Il perdurare dell’emergenza sanitaria ha determinato nel 2021 un ulteriore incremento della quota di famiglie che dichiarano di aver visto peggiorare la propria situazione economica rispetto all’anno precedente: dal 29% del 2020 si arriva al 30,6% nel 2021, quasi cinque punti percentuali in più rispetto al 2019 (25,8%).

L’aumento si riscontra in tutte e tre le ripartizioni geografiche, tuttavia nel Centro e, soprattutto, nel Nord l’incremento più elevato si attesta nel primo anno di pandemia, mentre nel Mezzogiorno soprattutto nel secondo anno.

Aumento povertà assoluta

La grave crisi economica del 2020 provocata dalla pandemia si è tradotta in un aumento della povertà assoluta, giunta ai suoi massimi dal 2005, anno a partire dal quale è disponibile l’indicatore, con 1 milione circa di poveri assoluti in più e valori dell’incidenza pari al 7,7% per le famiglie e al 9,4% per gli individui. Nel 2021, pur in uno scenario economico mutato, la povertà assoluta si mantiene stabile, riguardando oltre 1 milione 950mila famiglie (7,5%) e più di 5 milioni 500 mila individui.

Più occupate le donne senza figli

Le donne tra i 25 e i 49 anni sono occupate nel 73,9% dei casi se non hanno figli, mentre lo sono nel 53,9% se hanno almeno un figlio di età inferiore ai 6 anni. Il calo è dovuto soprattutto all’aumento del tasso di occupazione delle donne senza figli (+1,9 punti rispetto al 2020), e si verifica nel Nord (il rapporto passa da 80,2 a 77,6) e nel Mezzogiorno (da 67,6 a 65,2), ma non nel Centro dove l’indicatore aumenta (da 81,0 a 84,5) per effetto della crescita del tasso di occupazione tra le donne con figli piccoli.

Al 42,1% la presenza delle donne nei CDA

La presenza femminile nei consigli di amministrazione delle grandi società quotate in Borsa continua a crescere e nel 2021 si attesta al 41,2%, con uno stacco di quasi 10 punti percentuali in più della media dei 27 Paesi dell’Unione (30,6%).

È il risultato delle ulteriori misure introdotte dalla legge di bilancio 2020, che ha innalzato al 40% la quota femminile in questi organi e aumentato da tre a sei il limite massimo di mandati consecutivi.

Italia prima in Europa per numero di NEET

Italia al primo posto in Europa per presenza di Neet, ossia di giovani che non studiano e non lavorano. Il fenomeno interessa in modo particolare le ragazze. 

Il nostro Paese ha il primato per la numerosità di questo particolare segmento di giovani, tra 15 e 29 anni, che non sono più inseriti in un percorso scolastico o formativo e neppure impegnati in un’attività lavorativa, noti come Neet, Not in Employment, Education or Training.

Nel 2021, tra i giovani di 15-29 anni, il 23,1% non studia né lavora, in calo rispetto al 2020, quando avevano raggiunto il 23,7%, con un incremento di 1,6 punti percentuali rispetto all’anno precedente la pandemia. Tra le donne il 25% non fa formazione né lavora (erano il 25,8% nel 2020), mentre tra gli uomini sono il 21,2%, erano il 21,8% nel 2020; tuttavia, sia tra le donne sia tra gli uomini, il calo non compensa l’incremento di Neet osservato nel primo anno di pandemia. Le differenze regionali rimangono elevate e ricalcano la dicotomia Nord-Mezzogiorno. Le regioni con la quota più elevata di Neet sono la Puglia (30,6%), la Calabria (33,5%), la Campania (34,1%) e la Sicilia (36,3%).

 

di Serena Campione

rapporto

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