La rete e le sue grandi compagnie devono avere un trattamento fiscale pari a quello delle imprese di altri settori , per bilanciare l’economia e rimpolpare le casse statali, che – in debito d’aossigeno – non possono permettersi agevolazioni ai colossi internet. Torna in auge la questione Web Tax , ovvero la riforma fiscale che dovrebbe riorganizzare il sistema di tassazione dei profitti dell’industria legata alla rete, in Italia e in tutta Europa. Le istituzioni continentali, però, ci tengono a ribadire che si tratta di un Equity Act , che vuole introdurre parità di trattamento per tutte le aziende. Questa la definizione che ne dà Roberto Boccia, presidente della Commissione bilancio della Camera. Per Fedele Confalonieri, presidente Mediaset, la si può chiamar come si vuole, “Carolina, Web tax o altro, purché la si introduca” . Della stessa idea Carlo De Benedetti, presidente del Gruppo Espresso. La questione è innanzitutto italiana, ma anche europea . L’incapacità di mediare tra le necessità dell’industria culturale continentale, quelle di cassa dei singoli governi e la posizione negazionista delle compagnie internet è la causa degli screzi tra i maggiori esponenti dell’editoria e della creatività e il commissario europeo all’antritrust Almunia, in scadenza di mandato. La nuova Commissione riprenderà i lavori dopo l’estate, partendo proprio dal nodo Web Tax, durante il semestre di presidenza italiana dell’Ue, che promette iniziative importanti a riguardo. “ Io ammiro Google, è un’impresa straordinaria, così come Facebook, ma sono aziende che si basano su una presentazione fuorviante. Si presentano come aziende tecnologiche, ma in realtà raccolgono pubblicità. Sarebbe come dire che l’Espresso era un’azienda tecnologica perché avevamo le macchine da stampa – sostiene De Benedetti – . Google ha una base derivata dall’algoritmo, ma ne fa uno sfruttamento commerciale per il quale è giusto che paghi le tasse nel paese dove produce profitti”. Questo è il grande argomento di discussione in materia di internet e fisco . I critici dell’attuale sistema sostengono che le grandi società di settore sottraggono ogni anno tasse per 3 miliardi di euro allo Stato italiano; la situazione è simile nelle altre nazioni dell’Unione europea. Le web company sostengono invece di generare lavoro e innovazione, sfruttando poi agevolazioni e meccanismi legali per trasferire i guadagni in Paesi dove la tassazione è più bassa (o inesistente), come Olanda, Lussemburgo, Irlanda o paradisi fiscali Oltreoceano. “E’ pirateria d’alto bordo” , ha tuonato Confalonieri , che da tempo ha iniziato una battaglia con YouTube per la rimozione dei video delle trasmissioni Mediaset caricati dagli utenti senza il permesso del Biscione. Boccia guarda con un misto di preoccupazione e speranza alla situazione dell’economia internet : riconosce che alcuni settori “sono stati stravolti dall’economia digitale” , che musica, film e informazione ormai viaggiano online più che altrove, provocando danni ingenti all’industria di settore, che fatica a stare al passo. D’altra parte, l’e-commerce è la più grande opportunità di ripresa per tutte queste aziende : nel 2012 ha superato i mille miliardi di dollari di fatturato globale (+21,1% su base annua). Se si riuscisse a regolare la tassazione su colossi come Amazon, Google, Facebook, Microsoft e Apple si otterrebbero più concorrenza e un tesoretto per le casse malmesse dello Stato. Senza intaccare l’innovazione. Il difficile viene adesso: trattare con aziende di quel calibro è più complicato che stendere una nuova legge.
Ritorno di fiamma per la Web Tax

Guarda anche: