Le donne del terzo Stato più piccolo d’Europa che interrompono la gravidanza ancora oggi sono punite con il carcere. Il 26 settembre il referendum per la depenalizzazione dell’aborto.
San Marino resta uno dei pochi paesi europei – con Città del Vaticano, Malta, Andorra, Liechtenstein e Polonia – in cui l’aborto è reato, sia per la donna che interrompe la gravidanza sia per chi la aiuta. Urne aperte la prossima domenica: se il “si” vincerà il governo sarà chiamato a legiferare nel rispetto della decisione popolare. Al referendum si è arrivati grazie alla mobilitazione e al lavoro del gruppo femminista Unione donne sammarinesi (Uds).
Qualche mese fa, l’Unione donne sammarinesi (Uds, gruppo femminista attivo fin dagli anni Settanta) ha avviato l’iter per chiedere un referendum sulla depenalizzazione, raccogliendo le firme che, in un numero ben superiore al necessario, sono state poi depositate. Lo scorso marzo il Collegio Garante della Costituzionalità delle Norme si è espresso a favore dell’ammissibilità del referendum.
Nella Repubblica di San Marino l’aborto è illegale in ogni circostanza, anche in caso di stupro, gravi malformazioni del feto e pericolo di vita per la donna. Gli articoli 153 e 154 del codice penale del paese condannano alla prigione ogni donna che sceglie di interrompere la gravidanza, ma anche ogni persona che la aiuta o che esegue materialmente l’aborto. Le pene possono arrivare fino a sei anni.
Le donne di San Marino che vogliono abortire molto spesso decidono di superare i confini della Repubblica e farlo in Italia. Proprio la vicinanza con l’Italia e la garanzia di anonimato ha permesso fino ad ora a molte donne di affrontare la scelta bypassando la legge sammarinese.