Quando un paziente con epatocarcinoma (tumore al fegato – HCC) viene preso in carico da un team multidisciplinare coordinato dall’epatologo, è più facile identificare precocemente gli indici di scompenso epatico, contrastandone l’insorgenza o trattandolo adeguatamente una volta insorto e aumentando così la speranza di vita del paziente. Lo dice uno studio di rilievo internazionale sul trattamento immunoterapico con atezolizumab nel tumore al fegato, realizzato da un team di ricercatori del Policlinico ‘Paolo Giaccone’ di Palermo coordinati dal Professor Giuseppe Cabibbo, Associato di Gastroenterologia e dal Professor Calogero Cammà, Ordinario di Gastroenterologia e direttore UOC di Gastroenterologia, entrambi afferenti al Dipartimento PROMISE dell’Università del capoluogo siciliano.
Lo studio è stato pubblicato su Clinical Cancer Research e già presentato al congresso internazionale BCLC update 2024 di Barcellona, dove ha ricevuto una calorosa accoglienza. “Si tratta di una pubblicazione scientifica importante perché rileva, per la prima volta in uno studio rigoroso, che gli eventi epatici sono in grado di predire la mortalità per tumore al fegato più della progressione del tumore stesso – spiega il Professor Giuseppe Cabibbo, che è anche co-autore delle linee guida inter-societarie sulla Gestione Multidisciplinare del Paziente con Epatocarcinoma. “In pratica, poiché l’epatocarcinoma ha la peculiarità di insorgere su un’altra malattia (cirrosi epatica), lo studio dimostra che è fondamentale considerare anche la funzione epatica e il suo peggioramento come indice prognostico dell’evoluzione della malattia e che i pazienti possono avere maggiori opportunità di sopravvivenza se migliora la funzione epatica.”
Si tratta di una novità assoluta, che potrà modificare in futuro l’impostazione con cui vengono disegnate le sperimentazioni cliniche, col fine di gestire adeguatamente le complicanze della malattia di fegato sottostante. “Gli studi clinici per l’approvazione dei farmaci per l’epatocarcinoma hanno adottato fino ad oggi un approccio classicamente oncologico, che vede come obiettivo finale la sopravvivenza al cancro e come obiettivo secondario la crescita o decrescita della massa tumorale – aggiunge il Professor Cabibbo – Questo studio afferma, invece, la necessità di definire anche la funzione epatica, perché ciò ha un impatto sulla sopravvivenza del paziente.”
I risultati sono particolarmente significativi perché derivano dai rigorosi dati dello studio IMBrave 150 con cui, nel 2020, è stata approvato il trattamento immunoterapico con Atezolizumab Bevacizumab dell’azienda farmaceutica Roche. Lo studio pubblicato su Clinical Cancer Research si basa su un’analisi approfondita dei dati relativi a 400 pazienti arruolati nella sperimentazione del farmaco. E il fatto che un gruppo di ricerca indipendente abbia potuto avvalersi dei dati di un’azienda è un’altra importante peculiarità di questa pubblicazione. La Sicilia è stata la prima regione in Italia in cui sia stata costituita, su coordinamento del Policlinico, una Rete per la cura dell’epatocarcinoma con centri Hub e Spoke diffusi su tutto il territorio.
di Daniela Faggion