Metà dei posti disponibili rispetto alla media continentale, usato sei volte in meno. Non è solo un problema di spostamenti, ma anche di opportunità
In Europa il trasporto pubblico è visto come un alleato quotidiano: magari affollato, ma funzionante e per lo più affidabile. In Italia, invece, più che un modo per spostarsi, il trasporto pubblico sembra un esercizio di pazienza. A fotografare il divario è l’ultimo rapporto “Mind the Gap” di Clean Cities, la coalizione europea che monitora la mobilità urbana: secondo lo studio, la nostra rete offre circa la metà dei posti disponibili rispetto alla media continentale e registra un livello di utilizzo fino a sei volte inferiore. Una distanza che non nasce dal caso.
Il primo nodo riguarda la quantità di servizio messa in campo. Se si confrontano i posti disponibili per chilometro pro capite nelle principali città europee, realtà come Praga, Madrid o Varsavia risultano irraggiungibili: offrono un volume di trasporto che supera fino a otto volte quello delle città del Centro-Sud italiano.
Il divario aumenta quando si osservano le infrastrutture: tra metrò, tram e filobus, le metropoli italiane dispongono in media di un quinto dei chilometri dedicati al trasporto rapido rispetto alle capitali più virtuose. In queste condizioni è difficile convincere i cittadini a lasciare l’auto: per una persona che prende un mezzo pubblico a Napoli, Palermo o Bari, ce ne sono otto che lo fanno a Varsavia, Parigi o Praga.
Il risultato è evidente nei numeri sull’utilizzo: nelle città europee analizzate, la mediana dei viaggi pro capite è attorno ai 410 all’anno. Nel Centro-Nord italiano si scende sotto quota 300; nel Centro-Sud si arriva a malapena a 70. È una forbice che racconta molto, soprattutto in relazione alla soddisfazione degli utenti.
Se Vienna e Praga sfiorano il 90% di gradimento e Berlino, Amsterdam o Varsavia oscillano fra l’80% e il 90%, in Italia il quadro cambia bruscamente. A Palermo appena un cittadino su cinque si dice soddisfatto e a Roma o Napoli la percentuale sale di poco, frenata da ritardi frequenti, corse irregolari e sensazione di scarsa sicurezza.
Alla base delle difficoltà c’è anche un tema economico. Il Fondo Nazionale Trasporti, che rappresenta la principale fonte di finanziamento per le aziende del settore, negli ultimi dieci anni è rimasto sostanzialmente fermo in termini nominali, oscillando fra i 4,8 e i 5,3 miliardi. Nello stesso periodo, però, il costo del settore è cresciuto del 25%: in pratica, il potere d’acquisto reale di quei fondi si è progressivamente ridotto. La sola erosione dovuta all’inflazione negli ultimi cinque anni vale circa 4 miliardi di euro, una cifra non marginale se si considera che il Fondo copre fra il 25% e il 30% dei costi del trasporto nelle grandi città e può superare la metà nei centri più piccoli, soprattutto al Sud.
Le conseguenze di un servizio debole non riguardano solo la qualità della vita, ma anche le opportunità. Secondo l’Osservatorio Stili di Mobilità di Ipsos, tre italiani su dieci nell’ultimo anno hanno rinunciato ad almeno un’attività – lavoro, studio, cure mediche o momenti sociali – a causa di difficoltà negli spostamenti. A Napoli e Roma questa percentuale supera il 30%, mentre città come Milano e Bologna mostrano criticità minori. È la dimostrazione che una rete poco efficiente non è solo scomoda: può diventare un fattore di esclusione.
Il rapporto di Clean Cities insiste su questo punto: un trasporto pubblico più capillare e affidabile non servirebbe solo a ridurre traffico e emissioni, ma potrebbe ampliare l’accesso al lavoro, facilitare l’istruzione e rafforzare la coesione sociale. In altre parole, i mezzi non sono semplicemente mezzi: sono strumenti di cittadinanza. E in Italia, oggi, funzionano ancora troppo poco.

