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22 Maggio 2013 | Innovazione

Twitter cinguetta ordini alla politica. O forse no

La tumultuosa rielezione di Giorgio Napolitano a Presidente della Repubblica ha fatto discutere giornali, tv, esperti e avventori dei bar ma, soprattutto, il popolo di internet. Nei giorni scorsi Twitter ha dato sfogo, asilo e riflesso le opinioni di milioni di italiani su quantio stava avvenendo in Parlamento. La stasi sulla scelta del capo dello Stato ha tenuto banco sul micro-blog, e c’è chi ha sostenuto che i cinguettii abbiano influenzato la scelta finale dei parlamentari . I politici danno troppo retta a Twitter, questa la tesi di alcuni giornalisti (tra cui spicca Nicola Porro de Il Giornale). Il social network serve a tastare l’umore popolare ma troppo spesso, secondo Porro e altri suoi colleghi, in Camera e Senato ci si adegua alla volontà della rete. Insomma, se un tweet ha avuto buoni riscontri ed è stato replicato da migliaia di utenti, i politici seguono opportunisticamente la linea del consenso. All’interno della stampa c’è però chi la pensa in maniera opposta e non usa mezzi termini, definendo tutta la discussione “una stronzata” . E’ il caso di Arianna Ciccone, fondatrice del Festival Internazionale del Giornalismo, secondo cui il social network è una piazza virtuale e non fa pressione sul Parlamento più di quanto non facciano le piazze reali. La discussione tra penne più o meno prestigiose è divampata, ça va sans dire, proprio su Twitter. Quel che manca a supporto della tesi dei ‘complottisti 2.0’ secondo cui le sorti della repubblica si decidono online, sono i numeri: la rete rappresenta una parte della popolazione, quella attiva e disposta al dibattito attraverso le nuove tecnologie, una parte degli italiani forse più informata, consapevole e attiva, ma comunque minoritaria, che ha solo la pretesa di farse opinione (ed eventualmente pressione politica). A smontare il pensiero vaticinato da Porro sono la mancanza di dati e di una loro analisi empirica, che porti a costruire un filo logico tra tweet e decisioni parlamentari.   Sostenere che Twitter sia un politicante occulto (dotato di migliaia di teste) è un’opera di riduzionismo molto simile a quella tanto temuta da Porro & Co., che descrivono deputati e senatori come troppo inclini a seguire l’onda del web. E poi, se i social network influenzassero davvero le attività politiche o, meglio ancora, fossero davvero il riflesso del famigerato paese reale, con ogni probabilità Stefano Rodotà siederebbe al posto di Napolitano e, magari, Bersani avrebbe già formato un governo con il Movimento 5 Stelle. Intanto, su Twitter si continua a discutere.

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