E’ stato un fine settimana particolarmente ricco quello della Mostra del cinema di Venezia. Al Lido sono state presentate alcune delle opere più attese della 68esima edizione della kermesse, opere molto diverse tra loro ma accomunate da un alto tasso di ricerca visiva e di contenuti. Il Festival ha riscoperto innanzitutto la potenza espressiva di Marjane Satrapi , esule iraniana a Parigi, con la sua reinterpretazione di Romeo e Giulietta in chiave contemporanea. Il film Poulet aux prunes racconta un grande amore infelice ambientato nella Teheran del 1958: “D’amore si muore, ma quel che conta è restare vivi in vita, non cedere al grigiore della rassegnazione. Vale a Teheran come altrove” , ha detto Satrapi ai giornalisti, spiegando poi di aver perso ogni fiducia nella politica, mantenendo inalterata quella per l’arte: “Mio nonno ha passato un terzo della sua esistenza in carcere perché comunista, un mio zio è stato ucciso per le sue idee. Ho gran rispetto per le loro lotte, ma il loro sacrificio non è servito a niente. Anch’ io per molti anni sono stata una militante, ora però non credo più ai politici, troppo cinici. Oggi l’ unica arma che ci resta è forse l’ arte e la bellezza” . Altro grande nome sbarcato a Venezia, fuori concorso, è Al Pacino , che ha tolto il velo a Wilde Salome , opera in bilico fra fiction, documentario e teatro che vede l’attore italo-americano dietro la macchina da presa. “Quando ho cominciato non sapevo dove sarei arrivato. Avevo una visione, ma mi mancava una storia. È sempre brutto non avere un copione. Volevo fare un collage, mettere insieme delle cose che alla fine potessero mostrare quello che avevo in mente. E che anche facesse riflettere su chi fosse Oscar Wilde ”. Con queste parole Pacino ha presentato il film che, oltre alla messa in scena del testo di Wilde, offre anche sprazi sulla storia e la personalità del poeta, con riprese fatte a Dublino, Parigi, Londra e un’intervista al nipote. Il pubblico sembra aver gradito, tributando al regista-attore applausi scroscianti al momento della consegna del premio Jaeger-LeCoultre. Non così unanime, invece, è stato il consenso per Shame , secondo film dell’artista britannico Steve McQueen , che tratta le ossessioni patologiche di Brandon, trentenne newyorkese incapace di gestire la propria esistenza al di fuori dei meccanismi sessuali. McQueen si muove tra scene scabrose e avvilenti con la stessa forza e la stessa naturalezza che già aveva mostrato in Hunger , suo film d’esordio, inseguendo la drammatica volontà di redenzione del protagonista, mai appagata. Un’opera d’impatto e quanto mai attuale, nel suo indagare la ricerca continua di spazi nuovi e privi di regole: “E’ un film politico-emotivo, parla di come interagiamo, di come è cambiata la nostra sessualità, anche con l’avvento di internet. La libertà, l’accesso a tutto, può diventare una prigione” , ha detto il regista, che rilancia le proprie quotazioni come outsider per il Leone d’Oro. E obbliga a riflettere sul mondo e le relazioni sempre più virtualizzate.
Venezia riscopre Satrapi e adora Pacino, confermando il talento di Steve McQueen

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