Al Festival del Cinema di Venezia, dopo il romanticismo storico di Tornatore , ieri è stata la volta di due pellicole che indagano l’Italia contemporanea, proponendone un immagine contraddittoria e preoccupante. Il primo strillo, per niente isterico ma anzi freddo e puntuale, è stato lanciato da Erik Bandini , regista nostrano di stanza in Svezia. Il suo ‘Videocracy’ mette in mostra lo Stivale dell’ era berlusconiana, dominata dall’egoismo (e dall’egotismo) televisivo , vero fulcro, secondo Bandini, della cultura nostrana degli ultimi trent’anni. Il lungometraggio, a metà tra fiction e stile documentaristico, era particolarmente atteso, dopo le polemiche dei giorni scorsi a causa della decisione di Rai e Mediaset di non trasmetterne il trailer: “In realtà questo è un film pensato per spiegare ai miei amici svedesi, visto che lì vivo, le cose che mi preoccupano del mio paese. Ma il fatto che abbia trovato questo riscontro in Italia è una sorpresa totale – ha precisato il regista – Credo che a far paura sia stato l’uso delle immagini, per dire cose che per lo più finora erano state scritte”. Grande ressa per la prima proiezione dell’opera, che ha costretto gli organizzatori a organizzare immediatamente una replica. Un’Italia da (ir)reality show, pruriginosa e ammiccante, raccontata attraverso l’ascesa della tv commerciale, che ha radicalmente mutato il modo di rapportarsi al quotidiano, con i media sempre più coercitivi, veri e propri anestetizzanti sociali: “I miei amici svedesi quando parlano della tv italiana sorridono. In Italia invece l’unica preoccupazione sembra divertirsi, apparire in tv illude e promette privilegi assolutamente miracolosi. Questo è un mondo che si presenta come totalmente innocuo, ma invece non lo è” termina Bandini. Il colpo più duro, forse perché inatteso, è arrivato però da ‘Francesca’, film del rumeno Bobby Paunescu , che indaga senza cerchiobottismi e con approccio neo-realista il problema del razzismo nel nostro paese . L’esperienza personale dell’autore, che ha vissuto per 10 anni a Milano, si mescola a racconti comuni degli immigrati più recenti. La pellicola è, involontariamente, già un caso. L’onorevole Alessandra Mussolini è pronta infatti a richiederne il sequestro e per una battuta in esso contenuta: in una casa di Bucarest, la parlamentare di estrema destra viene apostrofata come “Quella…che vuole ammazzare tutti i romeni”, mentre altri insulti sono riservati a Flavio Tosi, sindaco leghista di Verona. “Quando la signora Mussolini, a seguito dell’orrendo crimine della signora Reggiani disse che i romeni hanno lo stupro nel dna – spiega Paunescu – mi sono sentito tradito, perché avendo vissuto in Italia a lungo e sentendomi metà italiano, avevo anche compreso e capito le prime reazioni a quel terribile fatto, dopo il quale infatti ho sentito fortemente l’esigenza di scrivere questa sceneggiatura”. Al termine della proiezione, il pubblico ha risposto calorosamente , mentre i giornalisti hanno reagito con più pacatezza. Entrambe le opere sono distribuite da Fandango e Domenico Procacci, che certo non avrà vita facile nelle prossime settimane, tra cause legali e probabili rinvii dell’approdo nelle sale cinematografiche. Italiani ‘brava gente’, o forse non più : mostrare le idiosincrasie di una paese sembra essere più che altro controproducente ma, a giudicare dalla curiosità del pubblico del Festival, essere inconcilianti può (per fortuna) essere un pregio.
Venezia66: il lato (in)conciliante della mostra

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