Furono infatti i Greci dell’isola di Chio primi a rendersi conto dell’effetto delle acque marine sulle uve da vino. Lasciavano gli acini a mollo per qualche giorno così da eliminare la pruina, il velo di cera biologica che si forma sulla buccia dell’uva, così da rendere l’appassimento delle uve più veloce.
Si riteneva inoltre che questa tecnica esaltasse le caratteristiche aromatiche.
Oggi si parla invece di cantinamento subacqueo, e di underwater wines, la pratica di far invecchiare il vino nelle profondità di mari e laghi. Le caratteristiche assicurate dalla procedura sono quelle di mantenere costanti e basse le temperature, una ridotta penetrazione della luce, maggiore protezione dai raggi Uv, dannosi per il vino, una differente pressione sul tappo.
Il tutto a basso impatto consumo di energia, perché anche l’operazione di remouage, viene demandata al moto ondoso delle acque.
Il cantinamento subacqueo è possibile anche con i vini mossi: la prolungata permanenza in profondità fa assumere allo spumante particolari caratteristiche come le bollicine più sottili e continue, un colore più accentuato e profumi più consolidati.
Ogni anno si compie poi il rito del recupero delle bottiglie: si stima che nel mondo le bottiglie di vino invecchiato in acque nel 2023 siano state 7/800mila unità: in tutta Italia sono ben 200 le tipologie di vini sommerse, e la procedura inizia a essere sperimentata anche per distillati e oli extravergine.