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26 Giugno 2007 | Attualità

Web 2.0: le parole da non dire (e sentire)

Un sondaggio , condotto da YouGov per conto di Lulu Blooker Prize, ha scoperto che i neologismi del Web 2.0 non piacciono. Il più odiato? Folksonomy, cioè la tassonomia nell’era del social networking. Ma anche altri esempi non se la passano meglio. YouGov a inizio giugno ha intervistato 2091 utenti adulti e in base alle risposte ha stilato una classifica dei termini odiati. Ecco i terribili cinque: folksonomia, blogosfera, blog, netiquette e blook. La palma del peggiore a Folksonomia, più spesso utilizzato con il termine inglese “folksonomy”, è un neologismo che descrive una categorizzazione collaborativa di informazioni mediante l’utilizzo di parole chiave scelte liberamente. Il termine viene attribuito a Thomas Vander Wal. Risultano terribili anche termini come blog, blogosfera e blook, il libro che nasce dall’esperienza online di un blog. A coniare il termine blook pare sia stato il giornalista Jeff Jarvis in riferimento al blogger Tony Pierce. Proprio un editore di tipo Web 2.0, organizzatore anche del Lulu Blooker Prize, ha commissionato la ricerca. Anche se, visto il palese conflitto di interessi (la parola è la quinta meno gradita), sarebbe stato meglio glissare sull’argomento. Si sa, è questione di “netiquette”. In questo caso si tratta di un termine in uso sul web da qualche anno che nasce della contrazione del vocabolo inglese net e quello francese étiquette, buona educazione.

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