L’ondata di cordoglio nazionale per l’attentato in Afghanistan ha fatto sospendere anche la manifestazione di sabato per la libertà di stampa. Ma non tutti sono d’accordo. Morti e feriti, italiani e afghani. Una giornata nera per il nostro Paese e per l’Afghanistan. Ma ci sono morti diversi dagli altri. Ogni settimana muoiono 21 persone sul lavoro in Italia (dati Inail 2008) e il Paese si è no ne parla. Ma quando sono i militari a morire, cioè coloro che fanno con sacrificio il mestiere più rischioso di tutti, scatta l’amor di patria. Bisognerebbe avere il coraggio di piangere anche chi cade da una impalcatura o rimane schiacciato in una pressa. Per queste sei vittime il Paese si ferma. Addirittura la manifestazione sulla libertà di stampa viene rimandata. E invece sarebbe stata proprio l’occasione per mettere tutte le vittime sullo stesso piano, di chiedere perché le istituzioni si curano più di alcune e di altre no. La politica si è bloccata. I leader di partito hanno espresso la loro tristezza con frasi e lacrime. Degli altri 100 morti di questo mese nessuno si è ricordato. Per loro nessuna manifestazione o convegno è stato annullato. Anche su questo l’informazione italiana deve riflettere. La libertà di stampa è un bene fondamentale, ma la correttezza e l’obiettività dell’informazione aiutano la credibilità e il rapporto con i propri lettori. Le vittime afghane sono così immolate due volte: alla patria e alla politica. Poteva essere un motivo in più per parlare di una guerra che non entra nei telegiornali italiani da mesi, di riflettere sul nostro mestiere. Invece anche questa volta, solo lacrime e sangue.
Senza corteo né legge. Manifestazione Fnsi spostata al 3 ottobre

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