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18 Dicembre 2006 | Innovazione

Farina replica ad Alberizzi su sospensione dall’Ordine dei giornalisti

In merito alla sospensione di dodici mesi dall’Albo dell’Ordine dei Giornalisti di Renato Farina, il diretto interessato replica a Massimo A. Alberizzi. Farina è accusato di aver collaborato con il Sismi. Caro Alberizzi, ho vissuto con apprensione la tua vicenda. Non sono sbiancato come te, ma quasi. Perché immaginavo cosa stavi pensando: ti avevo letto.  Poi ho io stesso pensato che la polemica sul mio caso ti sarebbe potuta essere d’aiuto. Ho idea che sei stato tu a chiedere di controllare. Almeno i miei casini sono serviti a qualcosa di buono. Si può ricavarne anche una morale per me non troppo simpatica: dare addosso a Farina è una specie di salvacondotto… va bene così, purché tu sia salvo. A suo tempo non ti avevo risposto. Anche se lo desideravo. Proprio per una ragione personale. Non so se ricordi, ma, nel luglio del 1993, a Mogadiscio, mi tirasti fuori dai guai. Ai soldati italiani, comandati dal generale Loi, era stato accordato di riprendere il controllo della zona intorno al Pastificio. Io persi il contatto con i nostri, nel pigia pigia della folla un po’ festante un po’ maledicente, avevano già cominciato a strattonarmi. Arrivasti tu, con la tua Panda, e mi portasti in salvo. Ti sono grato, molto grato. Anche ora. Qualche giorno dopo – non lo ricordo certo a te – furono linciati quattro colleghi: Dan Eldon, Hos Maina, Hansi Krauss e Anthony Macharia. Un quinto, Mohammed Shaffi,venne picchiato ma restò in vita. Non sono un agente dei servizi segreti italiani né di alcun altro Paese del mondo, amico o nemico. Betulla non è il mio nome. Ho quello che mi hanno dato mio padre e mia madre. E basta. Non credermi, non ho questa pretesa. Ma ti do la mia parola che non mento. E prendi pure in giro la mia faccia paffuta, è una vita che anche giornalisti meno bravi di te accennano alle mie diffuse rotondità In breve. Mi sono ritrovato nella primavera del 2004 a disporre di canali in medio Oriente che mi consentivano di essere un tramite per la liberazione di ostaggi italiani. Le leve per salvare delle vite erano – piaccia o non piaccia – in mano al Sismi. Conoscevo Pollari, si fidava di me ed io di lui. Cosa dovevo fare? Siccome sono giornalista dovevo limitarmi a prendere appunti invece che agire per  aiutare gente in pericolo? Mi sono messo a disposizione, garantendo con la mia persona che i miei contatti in quei Paesi sarebbero stati tutelati. Avendo ricevuto del denaro (meno di quello che ho speso, te lo garantisco) per sostenere questo tipo di atti ho firmato delle ricevute con un nome che non esponesse me e altre persone a rischio. Tu hai mai sentito di un agente o di una fonte pagata che sigla delle ricevute? Alla magistratura ho parlato di generici miei rimborsi spese forfettari. Per non esporre persone. Punto. Non intendo dire di più. Impalatemi pure. Anzi, a dire la verità, avete già provveduto. La magistratura romana dirà se il mio aiuto è stato determinante oppure no per la liberazione ad esempio di Giuliana Sgrena. Di certo il mio aiuto c’è stato. Così come nel caso di Agliana, Stefio e Cupertino. Così come – essendo ingiustamente linciato, e senza avere alcuna possibilità di rispondere alle accuse – ho cercato di fare per Baldoni vivo e per il recupero dei suoi poveri resti. Non mi credi? Non mi crede nessuno della categoria? Che poi abbia cercato di aiutare in questi ultimi il Sismi, ritenendo che Pollari fosse estraneo al rapimento di Abu Omar, questo è un altro discorso: lo riconosco. Di certo non mi sono mai creduto una specie di eroe che combatte solitario la quarta guerra mondiale. Né in alcun modo sono stato un agente alle dipendenze dei servizi o una sua fonte organica. Credo di aver fornito alla magistratura dimostrazione di questo. Con tutto ciò, non mi sento superiore alla deontologia giornalistica e alle sue regole. Tant’è che mi sono sottomesso al giudizio dell’Ordine. Credo però che la deontologia non sia superiore alla morale. Il cui comandamento essenziale è:  non uccidere; ciò che implica anche: non lasciar uccidere. Mi si dice: i soldi, i soldi. E qui ripeto: non ho intascato nulla per me. Ora mi sento più libero di asserirlo. Non mi credete? Almeno vi resti un dubbio. Quando hai scritto che la mia permanenza nell’Ordine metteva a rischio i giornalisti italiani su fronti di guerra, ho pensato: perché si è deciso di sbattermi in prima pagina senza nemmeno un dubbio? Perché si è esposta la mia persona e soprattutto la mia famiglia a una infamia senza prestare in nessun modo ascolto a quanto dicevo? Mi si è tirato dentro i fatti di Genova. Si è datata la mia collaborazione ai servizi dal 1999. Balle. Nessuno ha protestato contro i guru del giornalismo pistaiolo che illegalmente hanno mal trascritto appunti della mia deposizione. Ribadisco qui quanto scritto al Copaco: nel 1999 sono stato fatto prigioniero dai Serbi due volte con l’accusa di essere una spia della Nato. Questo sì E poi ho cercato di fare quanto potevo per accorciare la guerra. Non sapevo neanche che esistessero i servizi segreti. Mi prestai semplicemente ad essere tramite di messaggi tra governi, cercando di trattare. E fui salvato da una persona che ritenni allora dei nostri servizi o di quelli (segreti davvero) del Pci o ex-Pci. Amico Alberizzi: lo sai anche tu. In guerra ci si infila sempre da una parte o dall’altra del fronte. Ci si imbarca con i guerriglieri o con i governativi. Io ho cercato che le due parti facessero pace, da giornalista, raccontando quanto era possibile raccontare senza mettere a rischio le vite. Con tutto questo, io non tradirò mai un uomo che si è messo nelle mie mani con le mie confidenze, fosse pure un mio supposto nemico. Lo dico a futura memoria di altri giornalisti che fossero rapiti. Non devono vergognarsi di nessuna Betulla. Non ho fatto del male a nessuno. Se poi vuoi ancora batterti per radiarmi, almeno non accusarmi di indegnità. Dì semplicemente che porta buono se si ha a che fare con le Corti islamiche. In bocca al lupo per tutto! Renato Farina

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