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25 Gennaio 2022 | Attualità

Djalali, il medico di adozione italiana condannato a morte in Iran

Ahmadreza Djalali nel 2016 fu invitato a un ciclo di conferenze da alcuni centri studi iraniani. Una volta arrivato in quel Paese venne arrestato. Secondo Amnesty International è stato in isolamento per sette mesi e torturato ripetutamente. Le autorità iraniane lo ritengono una spia. Dopo due udienze lo hanno condannato a morte. Amnesty International, il parlamento dell’UE e altre personalità giuridiche hanno chiesto il suo rilascio immediato sostenendone l’innocenza.

Ahmadreza Djalali e la sua vicenda

Djalali è esperto di medicina d’urgenza e ricercatore per l’Università del Piemonte orientale. Il medico iraniano-svedese è detenuto dal 26 aprile 2016 nelle carceri iraniane e condannato a morte nel 2018 da un “tribunale rivoluzionario” di Teheran. Tutto ciò al termine di un processo che Amnesty International definisce “fortemente iniquo”. Secondo l’accusa, spiega Amnesty, Djalali ha avuto diversi incontri col Mossad, l’agenzia di intelligence israeliana, fornendo loro informazioni sensibili su siti militari e nucleari italiani e su due scienziati iraniani poi assassinati. Djalali è ora detenuto nella prigione di Evin, in condizioni di salute sempre più precarie. Inoltre Ahmadreza non ha la possibilità di comunicare con la moglie e i figli da un anno e mezzo. La famiglia attualmente risiede in Svezia. 

Ricercatore dell’Università del Piemonte orientale

Ahmadreza è residente in Italia e studioso dell’Università del Piemonte Orientale dal 2012. Dopo il suo arresto, il comune di Novara lo ha nominato “cittadino di Novara”. Nonostante la mobilitazione l’ambasciatore italiano a Teheran non ha accettato di incontrare l’avvocato e la famiglia di Ahmadreza. “Ahmadreza Djalali ha un cappio che gli fa macabramente compagnia dal 21 ottobre 2017, giorno della condanna all’impiccagione a morte emessa da un tribunale iraniano”. Queste le parole di Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia. E aggiunge “nei suoi confronti non è mai stata presentata alcuna prova. Amnesty International Italia e l’Università del Piemonte Orientale, dove Djalali ha trascorso un lungo periodo di ricerca, continuano a chiedere la scarcerazione di un appassionato uomo di scienza“.

di Alessandro Bonsi

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