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8 Luglio 2024 | Disinformational

Italiani e informazione, corsa a ostacoli tra le fake news

Secondo il rapporto Censis-Ital Communications, nell’ultimo anno l’83,4% ha avuto a che fare con almeno una “bufala” sulla pandemia e il 66,1% sulla guerra. Un millennial su quattro si informa solo online.

 

L’emergenza quotidiana, rappresentata dal Covid prima e dalla guerra poi, ha generato negli ultimi tempi una domanda di informazione inedita. Si parla di questo fenomeno come di “bulimia informativa”: il 97,3% degli italiani nell’ultimo anno ha cercato notizie su tutte le fonti disponibili, off e online, per una media di 2,7 fonti consultate per ciascuno.

L’emergenza ha dunque accelerato il percorso verso un ecosistema mediatico più digitale e articolato, determinando cambiamenti anche nel rapporto con i media. Oggi la corsa all’informazione riguarda la totalità della popolazione; una platea che non sta ferma ad aspettare, ma partecipa essa stessa alla creazione delle notizie e le diffonde.

E’ questa la fotografia fornita dal secondo rapporto annuale sulla buona comunicazione dell’emergenza quotidiana all’interno dell’Osservatorio permanente Ital Communications e Censis.

Informazione più democratica, ma rischio fake news

La conseguenza diretta di questo processo di creazione e circolazione dell’informazione dal basso si traduce sempre più spesso, soprattutto nel web e sui social media, in una democratizzazione dei contenuti, ma anche nella costruzione di realtà parallele a quelle ufficiali, capaci di incidere su opinioni e comportamenti di milioni di persone complicando ulteriormente realtà già di per sé complesse e generando spesso le cosiddette fake news. L’83,4% degli italiani si è imbattuto almeno in una bufala sulla pandemia e il 66,1% in una notizia falsa sulla guerra.

Gli italiani e il Covid, quali fonti di informazione?

Nel periodo dell’emergenza globale causata dal Covid milioni di persone hanno utilizzato social media e messaggistica istantanea per visionare, condividere, commentare notizie, diventando in prima persona protagonisti e moltiplicatori di quello che leggevano e/o ascoltavano. Il 38,8% delle persone (e il 53,1% tra i più giovani) ha usato i social media per informarsi. Mentre un milione di italiani, pari al 2,7% del totale, dichiara di non aver consultato alcun canale informativo sulla pandemia, e la quota sale al 5,3% tra i meno scolarizzati. 

Ma come si sono informati gli italiani, attraverso quali strumenti? I più numerosi, 32 milioni di individui maggiorenni pari al 64,1%, ha costruito un palinsesto informativo “misto” in cui coesistono media tradizionali, media online e social media. Uno “zoccolo duro”, però, di 9 milioni e 300 mila italiani, il 18,7% del totale (quota che sale al 41,7% tra chi ha più di 65 anni), ha seguito solo i media tradizionali. Viceversa, sono 7 milioni e 200 mila, il 14,5% del totale (che diventa il 25% tra chi ha meno di 34 anni) gli individui che hanno attinto alle notizie sulla pandemia esclusivamente dal web. Questi ultimi sono i più esposti a disinformazione e fake news, che finiscono per influenzare la loro visione del mondo e a condizionarne le scelte. 

Pericoli del digitale: allarme giovani

Se si considera che oggi, secondo il rapporto, il 69,1% dei ragazzi che hanno meno di 14 anni e il 61,7% di quelli che ne hanno meno di 12 navigano su internet, il problema della disinformazione è ancora più indifferibile. La preoccupazione per la sicurezza e il benessere dei minori è ai primi posti tra i pericoli del digitale per il 51% degli italiani e il 53% degli europei. Il 19,2% degli italiani inoltre (valore che sale al 21,5% per chi vive in famiglie con figli) ritiene che debba essere vietato ai minori di 14 anni l’accesso a internet, mentre il 43,9% vede con favore un percorso di responsabilizzazione dei minori nel loro accesso alla Rete e con l’obiettivo di creare consapevolezza dei rischi cui potrebbero andare incontro.

Guerra: influencer, fonte privilegiata per nativi digitali

Rispetto alle notizie sulla guerra, sono sempre i millennials (40,2% tra i 18-34enni) a rappresentare in maggior misura il 33,8% degli italiani che hanno ammesso di aver prodotto/condiviso/commentato contenuti sulla guerra basati su informazioni diverse da quelle veicolate dai media tradizionali. Ad esempio, i giovanissimi sono il gruppo più ampio tra chi si affida, anche come fonti informative, agli influencer. Il 38,1% degli italiani dichiara di seguire queste figure nelle loro opinioni/analisi sulla guerra. Il rapporto precisa però che è troppo presto per fare un bilancio dell’informazione dell’emergenza-guerra, ma anche in questo caso i segnali che vengono dall’opinione pubblica non sono confortanti: il 57,7% degli italiani giudica confusa (molto il 16,4%, abbastanza il 41,3%) l’informazione ricevuta, mentre il 42,3% la giudica chiara (13,1% molto e 29,2% sufficientemente).

Necessaria comunicazione di qualità

Le conclusioni si concentrano sull’importanza di una comunicazione responsabile e di qualità e sulla necessità di professionisti che guidino le aziende e le istituzioni nella predisposizione di piani di comunicazione interna ed esterna e di gestione dell’emergenza, in una missione fondamentale di contrasto alla disinformazione.

Il rapporto è disponibile qui.

Di Valentina Colombo.

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